mercoledì 14 dicembre 2022

Un'uscita artistica a Mantova

Vedere, ammirare e studiare le opere d’arte in presenza è senza dubbio una delle esperienze più suggestive che si possano mai fare. Essere lì, a pochi centimetri dalla materia pittorica, dalle iconografie e dai dettagli permette di comprendere al meglio quanto non siano opere create da Dio o dallo stregone, secondo la celebre definizione di Roberto Longhi ma manufatti creati dall’uomo, l’artista, con una sua formazione, un suo percorso, un suo stile.

Proprio per questo studiare le opere d’arte da vicino, nel loro “contenitore” (originario o attuale) rappresenta un ottimo spunto, se non addirittura il viatico, per una didattica storico-artistica solida, efficiente e produttiva: in altre parole, una storia dell’arte viva.
È quello che è successo il giorno 7 dicembre 2022 a Mantova, quando le classi 3A, 3D e 4A del liceo artistico “B. Alfieri”, accompagnate dai docenti Gandini, Pistone, Riso e Rovero, hanno visitato Palazzo Ducale, che ospitava anche la mostra su uno degli artisti italiani più rappresentativi della corrente del gotico internazionale come Pisanello o la celeberrima Camera picta di Andrea Mantegna. 

Durante il suo lungo soggiorno per più di quarant’anni a Mantova (dove morì nel 1506), Mantegna ha lasciato numerose opere, alcune purtroppo oggi non più presenti a causa anche delle spoliazioni napoleoniche. Di certo uno dei cicli pittorici ad affresco più celebri della storia dell’arte, ancora nella sua sede originaria, è la famosa Camera picta, oggi più comunemente chiamata Camera degli Sposi, nome assegnatogli dal biografo Carlo Ridolfi nel 1648. L’opera esalta la grandezza del committente Ludovico II, della sua famiglia e della corte mantovana dei Gonzaga che tanta importanza ha avuto per più di un secolo e mezzo per la storia dell’arte europea, soggiornandovi, tra gli altri, nei primissimi anni del Seicento il pittore fiammingo Rubens, divenuto non solo artista di corte (straordinaria e purtroppo frammentaria la Pala della Trinità a Palazzo Ducale, ammirata dagli studenti) ma anche agente per gli acquisti della collezione Gonzaga. 

Mantegna distribuisce le figure in maniera sapiente, giocando con l’illusionismo, quest’ultimo evidentissimo non solo nel celebre oculo prospettico, presente in qualsiasi manuale di storia dell’arte esistente, ma anche in alcuni dettagli macroscopici come il drappo quasi da quinta teatrale che si apre poco prima della figura di Ludovico II. Mantegna non dimentica però di essere un artista italiano per il costante richiamo all’antico presente nei medaglioni sul soffitto raffiguranti gli imperatori romani.

Nel pomeriggio le tre classi hanno visitato Palazzo Te, edificio anch’esso celeberrimo, costruito da Giulio Romano, allievo di Raffaello a Roma ed esponente di spicco di quello stile problematico che gli storici dell’arte chiamano, ancora oggi con le dovute cautele, manierismo. L’artista, che aveva già affrescato a Roma agli inizi degli anni Venti la quarta stanza vaticana, è costretto a fuggire dall’Urbe e a trovare rifugio a Mantova nel 1524, ospite di Federico II Gonzaga, che lo nomina pittore di corte, concedendogli la cittadinanza appena due anni dopo.
Lo stesso Federico II commissiona a Giulio Romano la costruzione di Palazzo Te, esemplare tra i più famosi dell’architettura cinquecentesca italiana (e non solo), nonché, tra gli altri, gli affreschi della celeberrima camera dei Giganti, in cui la grazia di Raffaello sembra passare in sordina rispetto allo straordinario illusionismo della pittura. Gli studenti hanno infatti ammirato come i personaggi (di michelangiolesca memoria) e la finta architettura partecipino alla sensazione che la stanza stia franando su se stessa, rendendo l’opera una delle più note tra quelle “di maniera” dell’arte occidentale

Tra una visita a Palazzo Ducale e quella a Palazzo Te è stata possibile anche ammirare un’opera di Leon Battista Alberti, architetto e teorico della corrente umanistica, giunto a Mantova per volere di Ludovico II nel 1459 e che curerà anche il progetto della chiesa di Sant’Andrea, completata però dopo la morte dell’architetto con rilevanti modifiche poco o per nulla fedeli al progetto originario. L’edificio però presenta numerosi elementi tipici dell’Alberti, sia all’interno che all’esterno, tra cui la facciata con il suo forte richiamo all’antico per la ripresa della tipologia dell’arco di trionfo romano, presente anche in un’altra opera dell’architetto come il Tempio Malatestiano di Rimini.
 
L’uscita didattica mantovana ha permesso ancora una volta agli studenti non solo di ammirare in presenza opere e artisti già studiati a lezione tramite slides e foto ma anche di comprendere come ogni artista non è mai un genio ma un individuo dotato di più o meno talento che all’interno delle sue opere fa trasparire la sua formazione, cosa ha studiato e cosa ha visto durante gli anni in cui è vissuto e, quindi, il suo personale stile. Proprio come afferma Roberto Longhi, nessuna opera deve essere osservata o ammirata «con reverenza o con orrore, come magia, come tabù, come opera di Dio o dello stregone» ma costantemente confrontata rapportata e contestualizzata. Ed è proprio questo che gli studenti ogni giorno devono apprendere: il confronto (il cosiddetto “rapporto” longhiano) come strumento didattico efficiente per fare storia dell’arte.

a cura del prof. Salvatore Pistone Nascone

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